Sindromi di Li Fraumeni
- donatellagambini
- 20 mar 2022
- Tempo di lettura: 5 min
Si tratta di una sindrome rara, ma subdola. Nessun segno o sintomo evidente che possa far sospettare la diagnosi, fino a quando molti tumori, di un certo tipo, o pochi, ma molto particolari, iniziando a presentarsi in più soggetti consanguinei nell’ambito di un gruppo famigliare.
La causa è una mutazione di un gene, che si chiama TP53, e che si trasmette in maniera autosomica dominante (cioè basta che la mutazione sia presente in un solo allele perché ci siano le manifestazioni cliniche e non è legata al sesso).
Si è già parlato in altri post di sindromi che aumentano il rischio di sviluppare tumori, dalle più note mutazioni di BRCA1 e BRCA2, a quella meno nota di PTEN. Però per la sindrome di Li Fraumeni (LF) diciamo che le cose si complicano un poco perché i tumori per cui è aumentato il rischio sono tanti, così come è maggiore la possibilità di esordio già nell’infanzia.
Vediamo quindi un po’ più in dettaglio di che cosa si tratta, perché può essere importante la diagnosi, ma anche i problemi che ne conseguono e che cosa si può fare una volta accertata la mutazione.
1. La storia
Come spesso succede, osservazione, metodo e deduzione (oltre che studio e curiosità) sono alla base delle scoperte scientifiche. Frederic Pe Li e Joseph F. Fraumeni Jr, due medici e ricercatori presso il National Cancer Institute ebbero l’idea di analizzare i casi di rabdomiosarcoma infantile registrati negli USA dal 1960 al 1964. Analizzando i casi e le cartelle cliniche disponibili, scoprirono che in 5 famiglie i casi di sarcoma infantile erano stati più di uno. Dei 5 bambini selezionati, si scoprì che tre di loro avevano avuto ciascuno un fratello affetto dalla stessa malattia (e la probabilità che ciò avvenisse fu calcolata pari allo 0,06%), gli altri due un cugino. Nelle 5 famiglie inoltre fu possibile riscontrare anche altri casi di tumori tra gli adulti, soprattutto mammari, ma anche di altro tipo come leucemie, tumori del pancreas e della pelle. Da qui l’idea che questo tumore potesse essere una manifestazione clinica di una sindrome a trasmissione ereditaria. Ci avevano visto giusto.
Nel 1998 Li e Fraumeni identificarono i criteri utili per la diagnosi clinica di questa nuova sindrome, e due anni più tardi, grazie al lavoro di altri ricercatori e collaboratori, fu pubblicata sulla prestigiosa rivista Science la scoperta della causa: una mutazione germinale del gene TP53
2. Il gene
Quanto TP53 sia importante per l’integrità del DNA si può intuire dal “soprannome” che si è guadagnato nel corso degli anni successivi: guardiano del genoma. Entrare troppo nei dettagli sarebbe fuorviante e poco utile, però vale qui la pena di sottolineare alcuni concetti base. Si tratta del gene più frequentemente mutato nei tumori umani (le mutazioni possono anche avvenire nel tumore, senza essere presenti in tutte le cellule e in questo caso si parla di mutazioni somatiche). Questo potrebbe essere la conseguenza del fatto che la proteina codificata dal gene, e detta p53, insieme ad un’altra proteina chiamata MDM2, rappresenta una delle vie di segnale più connesse nell’ambito cellulare. TP53 è un gene cosiddetto oncosoppressore, cioè in condizioni normali contribuisce a controllare il ciclo cellulare (cioè l’insieme di eventi che portano alla replicazione della cellula) in modo da rendere meno probabile che una cellula con materiale genetico alterato possa restare vitale e duplicarsi. Nel corso dell’evoluzione si è conservato, dal momento che si ipotizza sia stato presente già 600-800 milioni di anni fa e che si sia mantenuto nel corso dell’evoluzione (tanto per dare un riferimento temporale, la presunta comparsa del regno Animalia di cui fa parte l’uomo è fatta risalire a circa 665 milioni di anni fa).
3. La sindrome
Doveroso l’eponimo di sindrome di Li Fraumeni (cioè la sindrome ha avuto il nome dei suoi scopritori). Essendo il gene così coinvolto nella regolazione del ciclo cellulare, purtroppo il suo “malfunzionamento” aumenta il rischio di tumori in molti organi diversi.
Quanto è rara? Abbastanza, ma forse non così rara. Si stima che una mutazione germinale di TP53 possa essere presente in 1 soggetto ogni 5000-20.000 a seconda dei diversi studi.
La mutazione sarebbe inoltre presente in circa lo 0,2% degli adulti e nel 2% dei bambini affetti da tumore.
Qual è il rischio di sviluppare un tumore per un soggetto portatore della mutazione? Purtroppo molto alto, fino al 100% nelle donne e al 75% negli uomini nell’arco della vita
Sebbene tumori diversi possano svilupparsi più frequentemente rispetto alla popolazione generale, i cosiddetti core cancers, cioè quelli più caratteristici della sindrome sono il tumore mammario nella donna, alcuni sarcomi (osteosarcoma e sarcomi dei tessuti molli), i tumori cerebrali e quelli dei surreni.
4. Strumenti di prevenzione e diagnosi precoce
Che cosa fare quindi dopo una diagnosi di sindrome di LF? Come per altre sindromi/tumori eredo-famigliari, si può avviare un percorso di sorveglianza (con lo scopo di diagnosticare il più precocemente possibile l’eventuale tumore che si è formato), oppure ridurre il rischio che si formi (prevenzione) rimuovendo l’organo che con maggiore probabilità potrebbe essere colpito.
Quest’ultima strada è percorribile solo per i tumori mammari con la mastectomia bilaterale profilattica, come per esempio nei casi di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. Per il resto esistono delle linee guida che indicano quali esami – ed eventualmente da quale età – devono essere effettuati regolarmente (esami del sangue, risonanza magnetica del cervello e del resto del corpo, studi endoscopici dell’intestino e dello stomaco, visite dermatologiche, ecc).
L’ideale è essere seguiti in questo percorso da uno o più medici specialisti che, oltre ad applicare le linee guida per la sorveglianza, possano anche adattarle valutando i casi più frequenti in una certa famiglia e soprattutto regolando la frequenza degli esami anche a seconda dei risultati di quelli precedenti.
5. Risvolti psicologici
Sono un problema rilevante, anzi molto rilevante. Si tratta di famiglie che spesso sono state già colpite da malattie oncologiche, individui che devono affrontare percorsi impegnativi di sorveglianza per sé, ma soprattutto per i loro figli. La consulenza genetica e la decisione di affrontare il test spesso prevedono una valutazione psicologica, in modo da anticipare possibili problemi legati alla reazione che consegue a un risultato positivo.
Si assiste spesso in questi casi a reazioni opposte: da una parte chi vorrebbe sapere “a tutti i costi” di essere o meno portatore di una mutazione a maggior rischio di sviluppo di tumori; dall’altra c'è chi non vuole saperlo per non affrontare l’ansia della sorveglianza, dell’attesa degli esiti, delle spesso inevitabili indagini aggiuntive motivate da risultati dubbi.
Conclusioni
Non si tratta di situazioni gestibili “in proprio”, essendo fondamentale un percorso, di solito indicato dal genetista (che eventualmente potrà affidare il paziente ad altro specialista a seconda dei casi, con le indicazioni utili al percorso di sorveglianza più appropriato, i consigli e le indicazioni specifiche).
Resta inoltre sempre valida la regola della riduzione dei fattori di rischio modificabili. Mangiare bene, proteggersi dal sole, mantenersi normopeso, praticare regolare attività fisica, non fumare e non bere alcolici, sono tutte cose che possono contribuire a ridurre un rischio che invece la genetica purtroppo aumenta. Inoltre è importante informare i propri parenti in caso di diagnosi di tumore, in modo che ciascun membro del gruppo famigliare possa fornire al proprio medico, o ad altri specialisti, notizie corrette su quella che viene definita la famigliarità oncologica e che consente, nei casi appropriati, di dare il via alla consulenza genetica ed eventualmente alla proposta dei test.
In futuro è probabile che la ricerca fornirà altri strumenti, sia diagnostici che terapeutici.
Nel frattempo ognuno potrà fare la propria parte, allo scopo di spostare un poco l’ago della bilancia dalla malattia verso la salute.
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