“Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando.”
Albert Einstein
“Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell’anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo un istante inesistente di separazione tra passato e futuro”
Sant’Agostino, Le Confessioni
Disquisire sul tempo è opera ardua. Lo hanno fatto per secoli e secoli grandi pensatori, sarebbe da parte mia un tentativo maldestro, inadeguato e di necessità non esaustivo per definizione.
Però quando si è malati, il tempo occupa i pensieri e, non è la stessa cosa, i pensieri occupano il tempo.
Prima di tutto un prologo, poi la doverosa divisione in passato, presente e futuro, con buona pace di Sant’Agostino, perché sono queste umane categorizzazioni che vorticosamente si allacciano nei pensieri di chi ha paura di morire.
Prima considerazione: il tempo durante la malattia è un tempo anch’esso malato. Che cosa vuol dire malato? Che non è lo stesso tempo di quando si è sani. A parità di quantità di tempo non sempre si possono fare stesse le cose che si sarebbero potute fare in salute. Una delle frasi ricorrenti, talora maldestre anche se a fin di bene nelle intenzioni, di chi vuole consolare un malato oncologico è che, pur nella sfortuna, si potrà godere di un po’ più di tempo per se stessi, per esempio perché si può godere del previsto periodo di astensione dal lavoro per malattia. Però non è proprio così. Leggere un libro, guardare un film, dedicarsi a un hobby o a una passione, ammesso che la condizione fisica e lo stato emotivo lo consentano a seconda della malattia di cui si è affetti, avranno un effetto diverso. La concentrazione non è la stessa, la capacità di apprendimento forse nemmeno, le emozioni e soprattutto le reazioni che scaturiscono nei singoli istanti sono diverse. Cambia la percezione del tempo, cambia il suo significato, cambiano le aspettative, i riferimenti, la progettualità.
Il tempo della durata di una terapia, quello trascorso da una diagnosi, che in altre occasioni magari avrebbe permesso di fare molte cose, può invece passare quasi in modo automatico. Certo in quel tempo ci si cura, quindi si fa qualcosa di estremamente importante per la propria vita, ma talora la percezione di come esso sia stato impiegato può paradossalmente non corrispondere a una percezione di utilità.
Quasi un ossimoro, è un tempo malato che però cura. Il famoso detto popolare secondo cui il tempo è medico è vero. Il tempo permette di abituarsi alla nuova condizione e l’abitudine affievolisce molte negatività. Ci si abitua ai cambiamenti fisici e a quelli emotivi, ci si abitua a concentrarci sul presente e a pensare con circospezione all’incerto futuro. Cosa non da poco, anche chi sta vicino a una persona malata si abitua a vedere i cambiamenti, nel fisico (quando avviene) e nel comportamento.
1. Passato
Il passato è quello che non è più, quello che è stato e che non può essere cambiato. Però in questi momenti viene scandagliato, analizzato, valutato, fatto oggetto di bilanci. Rivolgere il pensiero al passato può voler dire influire pesantemente sulle emozioni presenti, sulle nostre reazioni e quindi sul futuro.
Passato vuol dire bilancio: bilancio della propria vista fino a quel momento, il rapporto tra quello che si è fatto o raggiunto rispetto alle aspettative. Dall’esito del bilancio è ovvio che dipenda una buona parte dello stato emotivo presente: una globale soddisfazione della propria vita, l’assenza di significativi rimpianti, di conti in sospeso, di sensi di colpa, porta sicuramente un po’ di pace e di tranquillità nel turbinio delle emozioni contingenti. Al contrario riconoscere elementi in sospeso, soffrire per scelte sbagliate, il cui effetto negativo magari sta ancora influenzando il presente o addirittura minaccia il futuro... beh, rende tutto più difficile. In ogni caso l’influenza del passato incide molto sull'emotività, quello che è stato fatto prima non è modificabile, ne sopportiamo (o ne godiamo se è andata bene) le conseguenze.
Una delle conseguenze a mio avviso più deleterie del pensiero applicato al passato è il ricercare in esso la causa del nostro male. E’ umano, ma l’irrazionalità è in agguato e spesso dotata di armi poderose, vincenti contro la nostra fragilità emotiva.
A Robert Chen, allora responsabile della sicurezza in ambito di vaccini presso i CDC (1) a Atlanta , è attribuita la seguente affermazione: fa parte della natura umana tendere a riconoscere come causa pressoché qualsiasi cosa preceda una tragedia (2). Il discorso è oggi attualissimo e sono passati quasi 23 anni da quella frase! Fu pronunciata sul nascere dei sospetti sui vaccini, come di "cause" appunto di malattie successive. Senza affrontare qui quell'argomento, la riflessione non solo come si è detto è attualissima, ma calza a pennello anche per i tumori. Credo che nel mio percorso di medico non vi sia stata frase più richiamata alla mia mente di questa. E’ veramente umano, dopo una diagnosi brutale, cercarne una possibile causa in tutto quello che è successo prima. Probabilmente contribuisce a restituire un po' di sicurezza il trovare una causa a quello che è successo, il rapporto causa effetto rende più comprensibile (o forse più accettabile?) la malattia! La risposta al "Perché proprio a me?" è molto ricercata, ma il più delle volte non trova nemmeno qualcosa che possa avvicinarsi alla certezza. Talvolta un collegamento esiste realmente (si pensi all’esposizione ad agenti cancerogeni per attività lavorative, oppure all'ereditarietà come fattore predisponente- ed è il filo conduttore di questo blog!), talora può esserci un dubbio, il più delle volte l’ipotetico nesso di causa effetto è assolutamente privo di fondamento. Quante volte mi sono sentita dire dai pazienti che il tumore era la conseguenza di un dispiacere familiare (lutto, divorzio), della perdita del lavoro, di un trauma locale, ecc. Molti di questi fattori sono stati analizzati dalla scienza, il legame tra un evento tragico (es perdita di una persona cara) e l’esordio di una patologia tumorale è stato studiato ampiamente, spesso si chiamano in causa i fattori di un sistema neuro-immuno-endocrino (o ancora una psiconeuroimmunoendocrinologia), ma alla fine le conclusioni non sono univoche e soprattutto non possono dare risposte nette (sì/no) perché il numero di fattori che entrano in gioco in generale, uniti alla variabilità individuale, elevano esponenzialmente la complessità dell’analisi. Ricordiamoci che quasi sempre il tumore non si forma per un'unica causa!
Certo che se oltre al dolore fisico ed emotivo del tumore, ci si aggiunge il livore nei confronti del coniuge che ha tradito o che se ne è andato, e lo si addita come causa di tutti i mali, oppure del datore di lavoro o del collega che, a causa del suo comportamento, ci ha causato tutto ciò..... bene non fa!
Anche in questo caso la razionalità deve avere il sopravvento. Sacrosanto, e scientifico, porre quesiti al medico nel sospetto di una causalità (cioè del sospetto di qualcosa che sia sospettato come possibile causa), ma poi affidarsi alla scienza per le conclusioni! L’analisi attenta e scientifica ha potuto trovare rapporti di causa-effetto in alcuni ambiti, giovando alle generazioni successive. Bisogna però fare molta attenzione perché una falsa relazione di causalità (cioè dire che il fatto X ha causato la malattia Y) potrebbe invece fare danni a noi e a chi viene dopo di noi.
Il passato comunque è passato, quindi non è più in nostro potere cambiarlo. È il presente il tempo in cui si combatte.
2. Presente
Il presente è il vero tempo malato. Le ore sono spesso scandite dai nuovi impegni: gli accessi in ospedale per le terapie o gli esami, l’assunzione dei farmaci, le ore libere dai sintomi quando questi sono controllati dalla terapia, fino alla dose successiva, ecc. C'è chi sta male, ma c'è anche chi sta sostanzialmente bene, chi riesce a mantenere una vita quasi normale, dipende da caso a caso. Però per chi sta male, il presente è veramente un tempo strano, che sembra averci imbarcato su una nave sulla cui direzione ci illudiamo, ma che in fondo ignoriamo. Ognuno cerca di occupare questo tempo come può, in base a come sta e per lo scopo che crede in quel momento sia migliore. Chi continua a lavorare, chi cerca distrazione nella lettura, nella vicinanza di amici e parenti, nel guardare programmi televisivi, film, cercare sul web notizie più o meno scientifiche o più o meno di gossip, chi cerca un nuovo hobby o ne recupera uno vecchio, chi preferisce non fare nulla e pensare, in un equilibrio instabile tra progettualità verso un futuro incerto, sensazioni legate al presente e tutto ciò che ci deriva dal passato.
Uno dei sentimenti legati al presente è quello che deriva dall’osservazione del cambiamento di sé, non solo esteticamente, ma anche come capacità di risposta sia fisica che emotiva a qualsiasi richiesta.
3. Futuro
Il futuro è quello che, se di solito è per definizione incerto, in questi casi addirittura tende a scomparire.
Direi che la prima reazione di fronte a una malattia di questo genere può essere quella di non riuscire a (o di non volere) vedere il futuro, di perdere qualsiasi progettualità.
Uno dei sentimenti più significativamente proiettati sul futuro può essere infatti quello della paura di investire. Non si pensi solo al denaro (acquisti, mutui o cose del genere), ma a qualsiasi forma di investimento sia materiale che immateriale. Perché anche investire il proprio tempo presente per qualcosa che potrebbe espletarsi in futuro può generare una fastidiosa sensazione di perdere qualcosa di prezioso, il tempo presente appunto, che potrebbe essere anche essere l’unico/ultimo a nostra disposizione. La scala dei valori oscilla peggio di quella azionaria in una giornata finanziariamente burrascosa, l’ottimismo e il pessimismo sono i due aghi di una bussola che impazziscono tra nord e sud.
È un po’ come quando si perde una persona cara e ci si ritrova per un attimo, a essere felici per qualcosa. Talora si è pervasi da una sorta di senso di colpa per quell’attimo di felicità, quasi l’avessimo rubato, come se non ci fosse più concesso essere felici.. bene , la stessa sensazione a volte si prova quando ci si ritrova a pensare con ottimismo a un progetto futuro, si può essere colti dal disagio di aver osato troppo, di aver varcato una soglia che non ci era permesso di oltrepassare, e bisogna invocare tutta la nostra razionalità per non cadere nella trappola dell’essere scaramantici.
(1) CDC: Centers for Disease Control and Prevention, agenzia federale statunitense e importante organismo di controllo della salute pubblica. Ha sede a Atlanta, nello Stato della Georgia.
(2) A shadows falls on Hepatitis B Vaccination Effort. Marshall Eliot. Science vol 281, 31 July 1998, pag 631
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