Il bivio
- donatellagambini
- 13 lug 2021
- Tempo di lettura: 5 min

“Dobbiamo abituarci all’idea: ai più importanti bivi della vita, non c’è segnaletica”
Ernest Hemingway
Tema vecchio quello del bivio, croce degli indecisi, adrenalina per chi osa. Ogni decisione che prendiamo ha delle conseguenze, spesso poco influenti sul prosieguo della nostra esistenza, talora importanti, altre volte determinanti. Ci sono mille bivi che incontriamo, alcuni ben riconoscibili, altri celati alla nostra vista, altri ancora che siamo costretti a imboccare dal destino, senza volerlo, trascinati dalla corrente della vita che non ci chiede di decidere.
Se facciamo un breve excursus sul ruolo del bivio nella vita, troveremo che nella maggior parte dei casi l’elemento fondamentale è la scelta. Il tema della scelta di fronte a un bivio si può dire che nasca con la Bibbia, con Adamo ed Eva; la mitologia greca ci parla di Ercole, chiamato a scegliere tra Virtù e Felicità; ne hanno dissertato molti filosofi. Ci sono poi le scelte che influiscono non sul singolo, ma sulla comunità, pensiamo alla politica, all’economia, al sociale, ecc; e ancora persone che hanno dedicato la loro carriera professionale e di studio (per esempio Shenna Yiengar (1). Il bivio ha poi affascinato scrittori di ogni tempo, mi fa piacere ricordare, a riprova del suo fascino e sua della potenza, che Alessandro Manzoni pone Don Abbondio proprio in prossimità di un bivio, quando incontra per la prima volta i bravi, dando inizio alla trama del romanzo (2). E via discorrendo.
In quasi tutte queste situazioni però, al bivio riconoscibile, è affiancata una richiesta, una scelta, un calcolo di rischi, di probabilità, un impegno verso se stessi o gli altri.
Il bivio di cui si parlerà è però un po’ diverso, è quello che non chiede di scegliere, o per lo meno nel quale la scelta del singolo non è l’elemento chiave; è il bivio che si riconosce solo quando ci si è già incamminati lungo una delle due strade percorribili, senza essercene accorti, senza averlo chiesto, voluto o cercato. Ci si accorge dopo, a strada già fatta e poche volte è concesso di ingranare la retromarcia. Possiamo ricordare il film Sliding doors (3), che ci porta a riflettere su come una semplice coincidenza possa cambiare il corso della vita. Se ci soffermiamo a riflettere su questo tipo di bivio, cambia tutto. Cambia l’elemento della scelta, che è o assente o, se presente, molto ridimensionata per quanto riguarda la responsabilità personale. E' il caso specifico della diagnosi di una malattia tumorale potenzialmente guaribile.
Diciamo che il bivio principale è già stato superato, quello tra essere sani e malati. Qualcuno potrebbe obiettare che almeno in alcuni casi “le scelte” sono state fatte prima: per es. fumare, condurre una vita sregolata, non porre attenzione ai fattori di rischio in generale, ma questo è un po’ aleatorio, la genesi di queste malattie è multifattoriale, è un discorso molto complesso e che non può essere limitato alla scelta tra una strada A o B. Immediatamente dopo si è in procinto di superare, o in alcuni casi si è già superato, un secondo bivio altrettanto importante: quello tra guarigione definitiva e non guarigione/morte anticipata. Un margine di scelta esiste, anche se non richiede in genere una decisione importante del singolo, che invece si affida a quella che lo specialista ritiene, sulla base delle evidenze scientifiche, la soluzione migliore per assicurare il maggior vantaggio globale. Quindi a parte casi particolarissimi (rifiuto delle cure, ecc), la scelta del singolo è piuttosto un adeguarsi a dati di fatto e le scelte su procedure, interventi, terapie alle quali il paziente è chiamato a partecipare, sono mediate dal professionista che le propone.
In genere in poco tempo (che può essere quello di pochi minuti o di mesi, a seconda delle modalità di diagnosi), cambia la prospettiva di vita. C’è una malattia, va curata, c’è una percentuale di guarigione, i numeri o meglio la prognosi sono anche favorevoli, basta essere nel gruppo statisticamente destinato alla guarigione.
Però sappiamo anche che (per fortuna in una minoranza di casi oggigiorno e probabilmente saranno sempre di meno con il progredire delle conoscenze scientifiche), c’è anche l’altro gruppo. Quello di chi "non ce la farà" ma nessuno, nemmeno la scienza oggi sa dire con precisione chi sarà.
Ed ecco che arriva un altro elemento che porta a riflettere su quanto facile sia rinunciare a una certa capacità critica. Se da un lato il non dover scegliere, ed essere quindi direttamente e in prima persona responsabili dell’esito, può eliminare il senso di timore, angoscia, indecisione, senso di colpa legato al possibile errore decisionale, dall’altro deflagra il senso di impotenza, che a sua volta si porta dietro altrettanti e forse più rilevanti timori e angosce.
Come accennato prima, oggi il paziente è informato, talora anche in parte responsabilizzato riguardo alle possibili scelte terapeutiche, ma alla fine la sensazione è quella di essere in un fiume che da calmo è diventato impetuoso, più o meno maldestramente si cerca di seguirne il corso, ma la sensazione è sempre quella di un trascinamento passivo, di non essere attori protagonisti, di poter far poco per modificare la direzione che è già stata presa, anche se noi non sappiamo con sicurezza dove ci porterà. Un esempio? La risposta, semplice, ma "perfetta", di alcuni pazienti di fronte alle spiegazioni che prevedono una scelta: "Faccia lei, è lei il Dottore!"
E credo che proprio questo sentimento di impotenza sia poi alla base di tante manifestazioni che ho potuto osservare da medico nei pazienti, che possono essere almeno in parte riconducibili al tentativo di riappropriarsi di un timone che sembra sfuggito di mano.
Pensiamo alla valanga di rimedi, comportamenti, abitudini che vengono esposti, citati, prospettati, amplificati dalla rete web, a cui i pazienti improvvisamente si affidano nella speranza di modificare l’esito finale, ovviamente in senso positivo. Senza entrare qui in un discorso spinoso e tutt’altro che definito (ma si potrà fare più avanti), è piuttosto improbabile che un radicale cambiamento di abitudini di vita quando la malattia si è già manifestata possa far cambiare le sorti della malattia. Alcuni di questi potranno certamente migliorare l'equilibrio emotivo, e ben vengano, purché non in antagonismo con un processo di cura scientificamente valido.
In questo caso ci si può sentire attori protagonisti e non marionette mosse dalle mani del fato, si sta facendo qualcosa, "mangio solo questo e niente di quello, sono IO che decido".
E’ una delle cose che possono ridurre il senso di impotenza, che sembrano restituire il timone, la capacità, o l’illusione, di poter almeno in parte governare le cose della nostra vita, affievolendo la terribile sensazione di essere in balìa di una corrente la cui direzione finale ci è sconosciuta.
(1) Docente di Economia presso il management Department della Columbia Business School, nota come una delle maggiori esperte riguardo al tema della scelta. Autrice de "The Art of choosing" (2010). (2) “la strada... si divideva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l’altra scendeva nella valle, fino a un torrente”. Da “I Promessi Sposi”, La Nuova Italia, Editrice, Firenze
(3) Sliding doors, film del 1998, diretto da Peter Howitt, interpretato tra gli altri da Gwyneth Paltrow e John Lynch. L'espressione che dà il titolo al film indica un evento imprevedibile che può cambiare la vita di una persona
Comments